Taglio di 3.000 posti per contenere i costi operativi
La casa automobilistica Volvo ha annunciato il licenziamento di 3.000 dipendenti, pari al 15% della forza lavoro globale, come parte di un ampio piano di ristrutturazione reso necessario dalla crisi che sta colpendo l’intero settore automobilistico europeo. La misura è mirata a contenere i costi e a rilanciare le performance finanziarie del gruppo, oggi in difficoltà a causa del crollo delle vendite e della pressione competitiva nel comparto elettrico.
Il taglio interesserà soprattutto i dipendenti in Svezia, in particolare i cosiddetti “colletti bianchi”, ossia lavoratori impiegati in settori come comunicazione, amministrazione e risorse umane. Questa categoria rappresenta una quota significativa dell’organico Volvo, addirittura superiore a quella della manodopera in produzione.
Un piano per risparmiare fino a 1,9 miliardi di euro
Il piano di razionalizzazione annunciato da Volvo Cars, di proprietà del gruppo cinese Geely Holding dal 2010, prevede risparmi complessivi fino a 1,9 miliardi di euro. La decisione è stata anticipata dalla società già a fine aprile, ma è stata formalizzata a seguito dei risultati del primo trimestre 2025, in cui l’utile operativo si è fermato a 175 milioni di euro, contro i 433 milioni registrati nello stesso periodo dell’anno precedente.
La flessione del valore delle azioni ha aggravato la situazione: nelle ultime settimane, il titolo ha subito perdite fino al 10%, e pur mostrando lievi segnali di ripresa, non è riuscito a recuperare il terreno perso. Tra le misure adottate dalla casa automobilistica per ristabilire la fiducia del mercato figura anche un programma di riacquisto azionario.
Transizione elettrica rallentata dalla concorrenza
Uno degli obiettivi chiave di Volvo è diventare un marchio completamente elettrico. Attualmente, l’azienda ha già lanciato cinque modelli elettrici, e altri cinque sono in fase di sviluppo. La strategia industriale include anche l’obiettivo di raggiungere emissioni nette zero entro il 2040. Tuttavia, il settore dei veicoli elettrici (EV) è oggi dominato dalla produzione cinese, e la competizione si è fatta particolarmente intensa, mettendo in difficoltà anche i produttori europei più strutturati.
La domanda globale di EV è calata rispetto alle previsioni iniziali, e il mercato europeo appare indebolito da fattori come l’incertezza normativa, l’inflazione, e le esitazioni dei consumatori. Questi elementi hanno rallentato la transizione e messo in discussione la sostenibilità economica degli investimenti effettuati in questo ambito.
Pressione geopolitica e nuove minacce tariffarie
Sul piano internazionale, pesano anche le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Unione Europea. L’ipotesi avanzata da Donald Trump di una tariffa del 25% sull’importazione di auto europee ha aumentato l’instabilità nei rapporti transatlantici. Sebbene la proposta sia stata sospesa, l’incertezza permane e rappresenta un serio ostacolo per aziende come Volvo, che puntano al mercato nordamericano per riequilibrare i propri volumi di vendita.
L’amministratore delegato Hakan Samuelsson, tornato alla guida dell’azienda dopo un primo mandato decennale conclusosi nel 2022, ha sottolineato l’importanza di nuovi accordi commerciali per garantire la competitività dell’industria europea negli USA. La mancanza di stabilità tariffaria potrebbe mettere a rischio la già fragile ripresa del comparto.
L’industria europea dell’auto in fase critica
La crisi che ha colpito Volvo non è un caso isolato. L’intero settore automobilistico europeo sta attraversando una fase di contrazione strutturale, aggravata dalla concorrenza asiatica, dai costi elevati di transizione ecologica e da una domanda interna stagnante. Per far fronte a questa fase difficile, la Commissione Europea sta rivedendo alcuni obiettivi del Green Deal, nel tentativo di allentare la pressione sulle case automobilistiche.
Anche marchi storici tedeschi e italiani hanno avviato programmi di riduzione del personale e taglio dei costi. In tutti i casi, le ricadute più gravi si riversano sui lavoratori, i primi a subire le conseguenze dei piani di ristrutturazione, in un contesto che richiede una nuova strategia industriale per salvaguardare l’occupazione e il saper fare europeo.