L’Agcom sanziona Google per 80mila euro
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha inflitto a Google una sanzione amministrativa di 80.000 euro per non aver rispettato gli obblighi di trasparenza sui ricavi generati in Italia da YouTube Premium. Secondo l’Autorità, la società non ha fornito i dati necessari per determinare i compensi spettanti agli artisti interpreti ed esecutori, come previsto dalla legge italiana sui diritti connessi. La decisione fa seguito a una segnalazione presentata nel 2024 dal Nuovo Imaie, l’ente che gestisce in Italia tali diritti.
Significato e rilevanza dei diritti connessi
I diritti connessi tutelano il compenso spettante agli artisti interpreti ed esecutori quando le loro prestazioni vengono utilizzate commercialmente, assicurando loro una giusta remunerazione per l’uso delle opere a cui hanno contribuito. Diversi dai diritti d’autore – che tutelano compositori e autori dei testi – i diritti connessi spettano a cantanti, musicisti, attori e doppiatori. La normativa italiana (Legge sul diritto d’autore del 1941, aggiornata dal Decreto legislativo 35 del 2017) impone alle piattaforme digitali di versare compensi agli artisti quando le loro prestazioni vengono visualizzate tramite servizi a pagamento come YouTube Premium, che costa 12 euro al mese.
Google accusata di non aver fornito dati fondamentali
L’accusa centrale rivolta a Google è di non aver comunicato i ricavi e le visualizzazioni relative ai contenuti caricati su YouTube Premium e contenenti esibizioni artistiche. Questi dati sono fondamentali per consentire agli organismi di gestione collettiva, come il Nuovo Imaie, di determinare con precisione gli importi spettanti e di ripartire equamente i compensi tra gli artisti aventi diritto. Questa mancanza di trasparenza, secondo Agcom, ha violato gli articoli 22 e 23 del Decreto Legislativo 35/2017, impedendo una negoziazione equa e informata tra la piattaforma e gli enti che rappresentano gli artisti.
Un precedente giuridico di portata europea
Secondo Massimiliano Capitanio, commissario Agcom, la decisione sancisce che anche colossi come Google rientrano nella definizione di “utilizzatori” ai sensi della Direttiva Barnier, e quindi sono soggetti agli stessi obblighi di trasparenza imposti alle imprese locali. L’Autorità ha inoltre sottolineato che le responsabilità non possono essere delegate agli utenti, nemmeno quando i contenuti sono caricati da terzi: spetta alla piattaforma identificare correttamente le opere e garantire la remunerazione prevista.
Dieci anni di trattative senza accordo
La vicenda ha radici lontane: già nel 2015, Google e Nuovo Imaie avevano avviato negoziati, senza però raggiungere un’intesa. Nel 2020, Google aveva proposto una somma forfettaria come compensazione per gli utilizzi precedenti, salvo poi negarne la validità retroattiva in difese successive. L’Agcom ha ricostruito i dettagli della corrispondenza tra le parti, dimostrando l’ambiguità delle posizioni assunte da Google nel corso degli anni. L’Autorità ha chiarito che l’obbligo di trasparenza si applica già nella fase precontrattuale, e non solo a contratto firmato.
Implicazioni per l’intero settore digitale
Pur trattandosi di una sanzione di importo limitato rispetto ai 300 miliardi di dollari di fatturato di Alphabet, la casa madre di Google, il provvedimento assume comunque un valore giuridico significativo e potrebbe avere ripercussioni rilevanti nel settore. Potrebbe infatti stimolare azioni simili nei confronti di altre grandi piattaforme come Spotify, Netflix, Amazon Prime Video, che anch’esse diffondono contenuti interpretati da artisti. Secondo il Nuovo Imaie, si apre una nuova fase in cui i creatori di contenuti potranno finalmente ottenere compensi equi, finora disattesi da parte dei giganti digitali.