Alaska, crocevia storico e strategico tra USA e Russia

Giulia Conti

Un’acquisizione che cambiò la geografia americana

Nel 1867 gli Stati Uniti acquisirono l’Alaska dall’Impero Russo per 7,2 milioni di dollari, una cifra che oggi equivarrebbe a circa 162 milioni di dollari. La transazione, autorizzata dallo zar Alessandro II, fu motivata dalla necessità russa di sanare le casse statali dopo la guerra di Crimea del 1856. L’accordo, mediato dal segretario di Stato William Seward e approvato dal presidente Andrew Johnson, inizialmente suscitò critiche e venne definito la “follia di Seward” per l’apparente inutilità di un territorio freddo e remoto. Tuttavia, la scoperta dell’oro pochi anni dopo ribaltò completamente l’opinione pubblica, trasformando l’Alaska in una risorsa preziosa.

Il “grande stato” nella politica americana

L’Alaska, soprannominata “Ultima Frontiera”, è oggi il più grande ma anche uno dei meno popolosi stati americani. A partire dagli anni Settanta, l’Alaska si è affermata come solido bastione repubblicano, dando i natali a personalità politiche di rilievo come Sarah Palin. Strategicamente, è l’unico stato statunitense a confinare direttamente con la Federazione Russa, separato dallo stretto di Bering da soli 88 chilometri. La collocazione geografica conferisce all’Alaska un ruolo strategico di primo piano, sia sul fronte militare sia su quello energetico, grazie a riserve petrolifere come quelle della Baia di Prudhoe e a basi aeree chiave dislocate a Fairbanks, incaricate di sorvegliare zone delicate quali la Corea del Nord e l’Artico.

Simbolismo e valore strategico nella diplomazia internazionale

Il futuro vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin potrebbe tenersi in Alaska, una decisione che combina un forte significato storico con evidenti benefici strategici. Dal punto di vista legale, gli Stati Uniti non aderiscono alla Corte Penale Internazionale, evitando così le implicazioni del mandato di arresto emesso contro Putin in relazione al conflitto in Ucraina. Organizzare il vertice sul suolo statunitense permetterebbe di eludere eventuali pressioni internazionali e, al tempo stesso, trasmettere un messaggio di forza sul piano geopolitico.

Una tradizione di incontri ad alto livello

L’Alaska è stata in passato teatro di importanti appuntamenti diplomatici. Nel 1971 ospitò l’incontro tra il presidente Richard Nixon e l’imperatore giapponese Hirohito, mentre nel 1984 vi si svolse la visita di Papa Giovanni Paolo II accompagnato dal presidente Ronald Reagan. Più recentemente, nel 2021, Anchorage fu sede di un acceso confronto tra alti funzionari americani e cinesi all’inizio dell’amministrazione Biden, episodio che si trasformò in uno scontro verbale di forte impatto mediatico.

Il possibile scenario per il summit Trump-Putin

Secondo indiscrezioni, per il faccia a faccia tra i due leader si valutano location lontane da occhi indiscreti, forse su una delle numerose isole dell’arcipelago alaskano. L’ultimo incontro tra Putin e un presidente americano risale al 2021 a Ginevra, quando si confrontò con Joe Biden poco prima dell’inizio della guerra in Ucraina. Un vertice in Alaska rappresenterebbe quindi una svolta significativa, non solo per il peso politico dell’evento, ma anche per la carica simbolica di un luogo che un tempo apparteneva proprio alla Russia.