Il governo valuta una tassa sui buy-back bancari

Giulia Conti

Una nuova ipotesi fiscale sul tavolo

Il Ministero dell’Economia sta studiando l’introduzione di una tassa specifica sui buy-back, pratica che negli ultimi anni ha assunto un ruolo centrale nelle strategie delle principali banche quotate. A differenza di precedenti misure straordinarie, che prevedevano anticipi su imposte già dovute, l’intervento in discussione punterebbe a colpire direttamente le operazioni di riacquisto di azioni proprie, utilizzate dagli istituti di credito per sostenere le quotazioni e distribuire valore agli azionisti.

Il fenomeno dei riacquisti di azioni

Il ricorso ai buy-back è cresciuto in maniera rilevante soprattutto nel comparto bancario. Negli ultimi anni, gli istituti hanno accumulato utili record, frutto anche dell’aumento dei tassi di interesse e del miglioramento della redditività operativa. Una parte consistente di questi profitti non è stata destinata solo a dividendi, ma anche a programmi di riacquisto titoli per miliardi di euro. Questa strategia ha consentito di accrescere la remunerazione degli azionisti e di sostenere i corsi azionari, ma ha sollevato interrogativi sul reale impatto per l’economia reale e sulla distribuzione delle risorse.

Le possibili motivazioni dell’intervento

Il governo intende valutare se l’imposizione di una tassa sui buy-back possa favorire una maggiore equità fiscale e contribuire a reperire risorse da destinare ad altri capitoli di spesa. L’idea si inserisce in un quadro più ampio di misure mirate al settore bancario, già oggetto in passato di provvedimenti straordinari. In particolare, si vuole evitare che l’enorme liquidità generata dagli utili rimanga concentrata nelle politiche di remunerazione degli azionisti, invece di essere impiegata a sostegno di credito, investimenti e famiglie.

Impatti potenziali sul sistema bancario

Una tassa sui buy-back avrebbe effetti diretti sui bilanci delle banche quotate, incidendo sulla convenienza di avviare programmi di riacquisto. Alcuni analisti ritengono che un intervento di questo tipo potrebbe ridurre la capacità degli istituti di rafforzare i propri indicatori di solidità patrimoniale, mentre altri sottolineano che l’imposizione potrebbe incoraggiare un impiego più produttivo degli utili. Le ricadute sui mercati finanziari dipenderanno dall’eventuale aliquota applicata e dall’ampiezza del provvedimento, che potrebbe interessare soprattutto i gruppi con capitalizzazione maggiore.

Il dibattito politico e regolatorio

Il tema è destinato a suscitare un confronto acceso tra governo, istituti di credito e autorità di vigilanza. Da un lato, l’esecutivo mira a reperire nuove risorse senza introdurre tasse generalizzate; dall’altro, le banche potrebbero opporsi a una misura percepita come penalizzante in un contesto di competizione europea e globale. La discussione si colloca in una fase in cui i governi europei cercano di bilanciare la stabilità del settore finanziario con la necessità di generare entrate fiscali, evitando allo stesso tempo di compromettere la competitività delle proprie istituzioni bancarie.