La Banca centrale svizzera punta sui colossi hi-tech

Matteo Romano

Investimenti record negli Stati Uniti

La Banca nazionale svizzera (BNS) ha consolidato negli ultimi anni una strategia di investimento fuori dagli schemi rispetto a molte altre banche centrali. Oggi l’istituto di Berna detiene partecipazioni azionarie negli Stati Uniti per oltre 167 miliardi di dollari, distribuite su circa 2.300 titoli. Tra questi spiccano i giganti della tecnologia: Amazon, Apple, Meta, Microsoft e Nvidia, che insieme rappresentano più di 42 miliardi di dollari. Solo in Nvidia, la banca ha investito oltre 11 miliardi, mentre la quota in Apple sfiora i 10 miliardi, confermando l’interesse diretto verso la Silicon Valley.

La strategia dietro le scelte azionarie

La presenza massiccia sui mercati americani non è motivata soltanto dalla crescita del settore tecnologico, ma risponde soprattutto a una logica di gestione valutaria. Il franco svizzero, storicamente percepito come bene rifugio, tende a rafforzarsi nei momenti di crisi geopolitica o finanziaria. Questo fenomeno, se da un lato attira capitali, dall’altro può generare pressioni deflazionistiche e ridurre la competitività delle esportazioni elvetiche. Per controbilanciare tale dinamica, la BNS vende regolarmente franchi e acquista valute estere, in particolare dollari ed euro, reinvestendoli poi in obbligazioni e azioni internazionali.

Il peso della valuta e l’effetto Trump

Negli ultimi mesi, l’incertezza legata ai dazi introdotti dall’amministrazione Trump ha contribuito a un apprezzamento del franco di quasi 15% rispetto al dollaro. Questa forza, tuttavia, rischia di penalizzare ulteriormente le esportazioni svizzere, già sottoposte a tariffe del 39% da parte degli Stati Uniti. Di fronte a tali sfide, la banca centrale utilizza gli investimenti esteri come strumento indiretto per attenuare l’impatto del rafforzamento valutario e mantenere la stabilità economica interna.

Un bilancio sbilanciato sull’estero

Ad oggi, circa l’87% del bilancio della BNS, pari a 855 miliardi di dollari, è costituito da attività in valuta estera. Di queste, circa il 25% è rappresentato da azioni. Una scelta che, pur risultando unica nel panorama delle banche centrali mondiali, espone l’istituto elvetico a una forte volatilità dei mercati. Nella prima metà dell’anno, infatti, la strategia si è tradotta in una perdita di 15,3 miliardi di franchi, confermando i rischi legati a un approccio tanto ambizioso quanto non convenzionale.