OpenAI sotto esame: il rischio di un effetto domino globale

Giulia Conti

Il gigante dell’IA al centro dei mercati

Nel giro di pochi anni, OpenAI, la società guidata da Sam Altman, è passata da laboratorio di ricerca a protagonista dell’economia tecnologica mondiale. Con un fatturato stimato di 3,5 miliardi di dollari, pari a circa il 2% del volume di vendite di Amazon, il gruppo è diventato un punto di riferimento per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa. Il suo valore complessivo, valutato intorno ai 500 miliardi di dollari, la colloca tra gli attori più influenti del panorama tecnologico, anche grazie alla partecipazione di colossi come Microsoft (che ne detiene il 27%), Nvidia e AMD.

L’importanza strategica di OpenAI va ormai oltre il settore tecnologico, estendendosi al sistema economico e politico degli Stati Uniti, dove la crescita dell’IA è considerata un pilastro dell’innovazione industriale. Tuttavia, questa rapida ascesa solleva interrogativi sul rischio di un’eccessiva concentrazione di potere e di un possibile impatto sistemico in caso di crisi.

Un modello troppo grande per fallire

Molti analisti iniziano a paragonare OpenAI alle grandi banche d’investimento prima della crisi finanziaria del 2008. All’epoca furono i mutui subprime e i derivati a innescare un crollo globale; oggi, secondo gli esperti, il pericolo risiede nell’eccessiva fiducia nelle capacità dell’intelligenza artificiale. Con una perdita stimata di 10 miliardi di dollari nel 2024, la società non è ancora redditizia, ma il suo peso nel mercato è tale da far temere un effetto domino in caso di fallimento.

La rete di alleanze costruita da Altman, valutata oltre 1.000 miliardi di dollari, lega OpenAI a partner e investitori in ogni ambito dell’economia digitale. Se la domanda di soluzioni IA dovesse rallentare, questo intreccio finanziario potrebbe mostrare le prime crepe, trascinando con sé anche gli equilibri borsistici dei giganti tecnologici.

Il rischio di una bolla dell’intelligenza artificiale

I mercati guardano con preoccupazione alle valutazioni record raggiunte da aziende come Nvidia (circa 5.000 miliardi di dollari) e Microsoft (oltre 4.000 miliardi), gonfiate dall’euforia per l’IA generativa. Gli analisti temono un possibile “AI crash”, una correzione simile alla bolla delle dot-com dei primi anni Duemila, quando le aspettative sulla rivoluzione digitale superarono di gran lunga i risultati concreti.

Il rischio è che, come allora, l’eccessiva speculazione sulle nuove tecnologie possa tradursi in un brusco ridimensionamento delle quotazioni, con conseguenze a catena per l’economia globale. L’interconnessione tra OpenAI, i produttori di chip e le piattaforme cloud rende oggi il settore tecnologico più vulnerabile di quanto appaia.

Un colosso ancora in perdita ma in corsa per la Borsa

Nonostante le difficoltà, OpenAI prosegue nella sua corsa all’espansione. La società punta a debuttare a Wall Street entro il 2026, con una valutazione potenziale di 1.000 miliardi di dollari, che la renderebbe una delle IPO più grandi della storia.
Secondo le stime, OpenAI continuerà a investire massicciamente nello sviluppo di nuovi modelli linguistici e infrastrutture cloud, accettando perdite nel breve periodo per consolidare la leadership tecnologica nel lungo termine.

Le pressioni del mercato, tuttavia, crescono: ogni trimestre aumenta l’attesa per una svolta verso la redditività, e il settore finanziario osserva con attenzione le mosse di Altman. Un eventuale rallentamento o un calo dell’entusiasmo per l’IA potrebbe mettere a rischio l’intero ecosistema tecnologico statunitense, oggi fortemente dipendente dall’evoluzione di OpenAI.

L’IA come nuova infrastruttura critica

Con milioni di utenti che utilizzano quotidianamente strumenti basati su ChatGPT, OpenAI è diventata una vera e propria infrastruttura strategica per la produttività, l’educazione e la comunicazione digitale. La sua importanza sistemica non è solo economica, ma anche geopolitica: il progresso dell’intelligenza artificiale è ormai parte integrante delle politiche industriali americane.

Per questo, un eventuale fallimento o rallentamento della società avrebbe impatti strutturali paragonabili a quelli di una crisi bancaria, minando la fiducia degli investitori e la stabilità dei mercati globali. Il caso OpenAI dimostra come l’intelligenza artificiale sia passata, in meno di un decennio, da curiosità accademica a fulcro dell’economia mondiale.