Una modifica legislativa che solleva dubbi di costituzionalità
All’interno del Ddl Semplificazioni è presente una norma che ha acceso un acceso dibattito tra giuristi, notai ed esperti di diritto di famiglia.
La disposizione interviene sulle regole che disciplinano le donazioni effettuate in vita, con l’obiettivo dichiarato di favorire la circolazione degli immobili donati e semplificare le verifiche necessarie nelle compravendite. Tuttavia, secondo numerosi osservatori, la riforma rischia di compromettere la tutela degli eredi legittimari, introducendo cambiamenti significativi e potenzialmente retroattivi.
Il provvedimento, che sarà votato alla Camera il 20 novembre, modificherebbe principi consolidati del diritto successorio, limitando gli strumenti di difesa oggi riconosciuti agli eredi lesi.
L’articolo 44 e la revisione delle tutele successorie
L’intervento normativo riguarda l’articolo 44 del disegno di legge 2655, che riscrive diversi commi in materia di successione e donazioni.
Attualmente, il Codice civile consente agli eredi legittimari di difendersi da una donazione che leda la quota di legittima tramite l’azione di riduzione e, nei casi più estremi, tramite la restituzione del bene donato, anche se già trasferito a terzi.
Questa possibilità è garantita dagli articoli 561 e 563, che prevedono una tutela reale e non soltanto economica.
Il regime vigente consente di contestare una donazione fino a 20 anni dopo l’atto, e di agire per la riduzione entro 10 anni dalla morte del donante.
La nuova norma comprimerebbe drasticamente questi tempi: la possibilità di opporsi sarebbe limitata a sei mesi, un periodo ritenuto insufficiente, soprattutto per eredi minorenni, incapaci o non ancora consapevoli dei propri diritti.
Il rischio di un passaggio da tutela reale a tutela solo creditizia
Uno degli aspetti più criticati riguarda il passaggio, di fatto, da una garanzia reale alla sola pretesa di un indennizzo economico.
Se la norma entrasse in vigore, l’erede non potrebbe più rivalersi sul bene donato, ma dovrebbe accontentarsi di un credito nei confronti del donatario o dei suoi successori.
In pratica, verrebbe meno la possibilità di ottenere il bene “libero da ipoteche”, un pilastro che oggi protegge i legittimari nei casi in cui il donatario sia incapiente.
Secondo una nota dello studio legale Previti, questo genererebbe una profonda compressione dei diritti successori, soprattutto per i minori e per gli eredi sopravvenuti, che avrebbero pochissimo tempo per far valere le proprie ragioni.
Il problema, evidenziano gli esperti, è che il mero diritto di credito è spesso difficile da recuperare: tra il 2006 e il 2021, la percentuale media di recupero giudiziale per i privati è stata del 55,8%, che scende al 37% in assenza di garanzia reale.
Ciò significa che la tutela prevista dalla riforma sarebbe molto più fragile rispetto all’attuale sistema.
Un mercato già regolato da strumenti assicurativi
Da anni chi acquista un immobile di provenienza donativa si tutela con apposite polizze assicurative, dal costo compreso tra lo 0,2% e lo 0,3% del valore dell’immobile.
Queste coperture hanno ridotto il rischio per acquirenti, banche e legittimari, consentendo un mercato fluido che oggi coinvolge circa 20.000 immobili ogni anno, con un valore complessivo stimato in 3 miliardi di euro.
Secondo un’analisi della Bocconi, queste polizze hanno facilitato l’accesso al credito e la circolazione dei beni provenienti da donazione.
La riforma, sostengono molti operatori, ignorerebbe questa realtà consolidata, creando un sistema più fragile e meno equo.
Le possibili ricadute costituzionali e il nodo delle disparità
Il nuovo limite dei sei mesi produrrebbe differenze marcate tra eredi, creando di fatto categorie di “eredi di serie A” e “eredi di serie B”, con i più giovani che rischierebbero di perdere la possibilità di contestare una donazione lesiva.
Secondo il costituzionalista Alfonso Celotto, il provvedimento potrebbe entrare in conflitto con l’articolo 3 della Costituzione, che garantisce il principio di uguaglianza.
La compressione del termine avrebbe effetti retroattivi difficili da gestire e potrebbe aprire la strada a un contenzioso molto ampio.
Lo scenario fiscale: l’eredità nel mirino delle politiche europee
Il dibattito sulla riforma si intreccia con un contesto più ampio: la crescente pressione europea su patrimoni ed eredità.
A causa della denatalità e dell’invecchiamento della popolazione, nei prossimi decenni l’Italia avrà circa 8 milioni di lavoratori in meno entro il 2070, con un aumento significativo degli anziani.
Per sostenere la spesa previdenziale, istituzioni come Ocse, UE e FMI spingono da tempo per un incremento della tassazione successoria.
Oggi le eredità tra genitori e figli sono tassate al 4%, oltre una franchigia di 1 milione di euro.
In molti Paesi europei le aliquote sono più elevate e attive su soglie inferiori.
Una flat tax del 10% sull’eredità potrebbe generare, secondo alcune stime, 10 miliardi di euro all’anno per lo Stato italiano.
In questo contesto, la donazione in vita continuerà a essere uno strumento strategico per trasferire patrimoni, ma solo se il quadro normativo offrirà garanzie solide e non penalizzanti per gli eredi.
