Un negoziato che si interrompe tra accuse incrociate
Il tavolo sul futuro dell’ex Ilva si è concluso con una netta frattura tra governo e organizzazioni sindacali.
Dopo oltre quattro ore di confronto a Palazzo Chigi, le parti hanno lasciato la riunione con valutazioni completamente opposte: i sindacati hanno proclamato 24 ore di sciopero, mentre l’esecutivo sostiene di aver offerto garanzie sulla tutela occupazionale e sui prossimi interventi negli stabilimenti.
Il risultato è un clima di forte tensione, in un momento cruciale per la siderurgia nazionale e per migliaia di famiglie direttamente coinvolte.
Le contestazioni dei sindacati e i nodi sulla cassa integrazione
Le principali sigle dei metalmeccanici hanno denunciato l’assenza di un passo indietro da parte del governo sul nuovo piano industriale, illustrato nei giorni precedenti.
Secondo la loro ricostruzione, quel documento prevedrebbe l’ingresso in cassa integrazione di ulteriori 1.550 lavoratori a partire da gennaio, portando a quasi 6.000 il numero complessivo degli addetti interessati dalle misure di sostegno al reddito.
Questo scenario è stato giudicato inaccettabile, anche perché incide sulla continuità produttiva degli impianti e sul destino degli stabilimenti già colpiti da una lunga fase di incertezza.
La proclamazione dello sciopero è arrivata in forma unitaria, a testimonianza della gravità percepita dalle organizzazioni dei lavoratori.
La replica del governo e la strategia sugli impianti
La posizione dell’esecutivo differisce radicalmente da quella sindacale.
Palazzo Chigi afferma che non è prevista alcuna estensione della cassa integrazione oltre quanto già in atto, sostenendo di aver accolto una richiesta avanzata proprio dai rappresentanti dei lavoratori durante l’incontro precedente.
Il governo ha inoltre ribadito la volontà di investire sulla formazione professionale dei dipendenti, inclusi quelli già in cassa integrazione, per prepararli a un modello produttivo basato su tecnologie a ridotto impatto ambientale.
Tra le priorità annunciate figurano anche gli interventi di manutenzione sugli impianti, considerati essenziali per garantire la sicurezza e la continuità operativa.
Le trattative per la cessione e i potenziali investitori
Nel corso del vertice è stato affrontato anche il capitolo della struttura societaria e delle operazioni in corso per la vendita del gruppo.
Oltre agli interessi già noti di Bedrock e Flacks, il governo ha riferito dell’esistenza di due ulteriori soggetti extra Ue che avrebbero manifestato attenzione verso gli asset dell’ex Ilva.
La presenza di più candidati potrebbe, nelle intenzioni dell’esecutivo, favorire una cessione vantaggiosa e accelerare il rilancio degli stabilimenti.
Tuttavia, questa apertura sul fronte industriale non è bastata a evitare la rottura con le organizzazioni sindacali, che continuano a chiedere un quadro più solido e rassicurante per i dipendenti.
Un dossier complesso con interpretazioni divergenti
La distanza tra le parti resta ampia.
Per i sindacati, la mancata revisione del piano industriale metterebbe a rischio posti di lavoro e futuro degli impianti; per il governo, invece, le misure previste garantirebbero continuità produttiva, nuove competenze e un percorso per attrarre investitori strategici.
La mancanza di una visione condivisa rende incerto l’evolversi del dossier, lasciando aperti interrogativi su occupazione, produzione e ruolo dell’ex Ilva nel panorama industriale nazionale.
