Una definizione da 723 milioni per chiudere il contenzioso
Il gruppo Amazon ha raggiunto un’intesa con l’amministrazione finanziaria italiana versando complessivamente 723 milioni di euro, una cifra significativa ma ben lontana dai quasi 3 miliardi contestati inizialmente dalla Procura di Milano e dalla Guardia di Finanza.
L’accordo permette di chiudere una lunga controversia relativa al mancato versamento dell’IVA da parte di operatori commerciali extraeuropei — in prevalenza cinesi — attivi sulla piattaforma del colosso statunitense.
Il pagamento complessivo deriva da 511 milioni di euro stabiliti nell’intesa principale, cui si sommano i 212 milioni già definiti nei giorni precedenti dalle controllate Amazon Logistica e Amazon Italia Transport.
Le contestazioni iniziali e la posizione dell’Agenzia delle Entrate
La vicenda riguarda il presunto concorso di Amazon nell’evasione dell’IVA al 22% da parte di venditori esterni, ai quali — secondo gli inquirenti — la società avrebbe permesso di operare senza fornire all’amministrazione fiscale dati sufficienti per identificarli.
La Procura milanese aveva iscritto Amazon nel registro degli indagati per presunta dichiarazione fraudolenta, ritenendo l’azienda responsabile dell’intero importo evaso: 1,2 miliardi riferiti al triennio oggetto delle verifiche, che diventavano quasi 3 miliardi includendo sanzioni e interessi.
Diversa la valutazione dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui non era sostenibile attribuire al gruppo statunitense l’intero ammontare dell’imposta non versata anche dai singoli venditori. L’amministrazione finanziaria ha infatti ritenuto applicabile solo una responsabilità parziale nella dinamica evasiva, preferendo quindi definire un accordo economico molto più contenuto rispetto alle ipotesi iniziali della Procura.
Sul piano penale, tuttavia, l’eventuale procedimento potrebbe proseguire. Restano infatti indagati alcuni dirigenti, tra cui tre manager della sede italiana e il vicepresidente Global Tax Kurt Lamp.
Perché Amazon ha scelto di sottoscrivere l’intesa
Dal punto di vista dell’azienda, il compromesso con l’Agenzia delle Entrate risponde a due obiettivi strategici:
- evitare il rischio di una sanzione ben più onerosa rispetto ai 723 milioni concordati;
- rafforzare la propria posizione in caso di prosecuzione dell’azione penale, potendo contare sull’interpretazione dell’amministrazione fiscale, che non configura frode fiscale ma un concorso in violazioni commesse da soggetti terzi.
Secondo il gruppo, l’accordo rappresenta un passo necessario per chiarire la propria posizione e contribuire alla normalizzazione del contesto di mercato.
Il peso di Amazon nell’economia italiana
Dati interni diffusi dal gruppo mostrano come Amazon rientri tra i primi 50 contribuenti in Italia, con un ruolo di primo piano anche per quanto riguarda gli investimenti esteri.
Negli ultimi 15 anni, infatti, l’azienda ha destinato al Paese oltre 25 miliardi di euro, con un organico che supera le 19.000 persone impiegate direttamente.
Nonostante questo, il gruppo non nasconde alcune criticità percepite nel sistema italiano: l’instabilità normativa, la severità delle sanzioni e la durata dei procedimenti giudiziari sono ritenute condizioni che possono incidere sull’attrattività del Paese come destinazione degli investimenti internazionali.
Un caso emblematico per il commercio digitale
L’intera vicenda evidenzia le difficoltà legate alla regolamentazione del commercio online e alla gestione dell’IVA nei marketplace digitali. Il modello di funzionamento delle grandi piattaforme, che ospitano migliaia di venditori internazionali, richiede infatti una definizione sempre più chiara di responsabilità, ruoli e obblighi informativi.
Le autorità fiscali europee stanno intervenendo da tempo per rafforzare i controlli e ridurre le zone d’ombra sulle transazioni transfrontaliere di piccolo importo. Il caso Amazon rappresenta uno dei dossier più rilevanti per portata economica e complessità normativa.
