Telecom ottiene il rimborso del canone del 1998

Matteo Romano

Una disputa durata quasi tre decenni

Dopo oltre ventisette anni di procedimenti giudiziari, il contenzioso tra Telecom Italia e lo Stato italiano arriva a una svolta definitiva. La Corte di Cassazione ha messo fine alla disputa, respingendo l’ultimo ricorso avanzato dalla Presidenza del Consiglio contro la decisione della Corte d’Appello di Roma.
L’esito sancisce il diritto del gruppo guidato da Pietro Labriola a recuperare il canone concessorio pagato nel 1998, un importo che, tra rivalutazioni e interessi, ha superato complessivamente 1 miliardo di euro.

Le origini del conflitto dopo la liberalizzazione

La vicenda trae origine dalla trasformazione del settore delle telecomunicazioni negli anni successivi alla fine del monopolio pubblico. Nel 1998, nonostante la privatizzazione, a Telecom Italia e a Tim fu richiesto un contributo complessivo pari a 528,7 milioni di euro per il canone di concessione.
L’anno seguente, però, la normativa venne modificata introducendo un nuovo meccanismo basato sul fatturato, ritenuto più coerente con il mercato liberalizzato. Per l’azienda, quel pagamento risultava quindi privo di fondamento giuridico, spingendo il gruppo a intraprendere un lungo percorso giudiziario per ottenerne la restituzione.

La svolta europea e le prime battute d’arresto

Nel 2000, la società si rivolse al Tar del Lazio, che rinviò la questione alla Corte di Giustizia europea. Nel 2008, l’istituzione comunitaria riconobbe la non debenza del canone.
Nonostante questa indicazione, i tentativi di recupero delle somme furono respinti dagli organi amministrativi italiani, incluso il Consiglio di Stato. La controversia riuscì a proseguire solo tramite la giustizia ordinaria, imboccando una strada più favorevole all’azienda.

La condanna dello Stato e l’intervento della Cassazione

La svolta definitiva arrivò con la sentenza della Corte d’Appello di Roma nell’aprile 2024, che impose allo Stato la restituzione dell’importo originario, con relativi interessi. Il totale aggiornato ha raggiunto circa 995 milioni di euro, destinati a crescere di oltre 25 milioni all’anno in caso di ritardi ulteriori.
Il governo tentò un ultimo ricorso alla Cassazione, sollevando anche un dubbio tecnico sulla competenza territoriale del tribunale che aveva accolto le richieste di Telecom. La Suprema Corte ha però escluso ulteriori ostacoli, confermando in modo definitivo la decisione d’Appello.

Una pronuncia in continuità con un precedente simile, che aveva visto anche Vodafone ottenere il rimborso di canoni ritenuti non dovuti.

I tentativi di accordo e l’impatto sui conti pubblici

Nei mesi scorsi era stato ipotizzato un accordo extragiudiziale: Tim aveva avanzato una proposta di riduzione dell’importo di circa 150 milioni di euro, oltre a un possibile piano di pagamento dilazionato. L’iniziativa non aveva però ricevuto risposta formale da parte dello Stato.
Parallelamente, l’Avvocatura dello Stato aveva richiesto una sospensione dell’esecutività della sentenza, motivando possibili ripercussioni sui conti pubblici. Tale richiesta fu respinta, in quanto non risultavano dimostrati né un danno grave né rischi per la tenuta finanziaria dell’amministrazione.

Un rimborso miliardario con effetti bilaterali

Con la decisione definitiva della Cassazione, si apre ora la strada all’erogazione del rimborso a favore del gruppo telefonico. L’importo – superiore a 1 miliardo di euro, considerando l’ulteriore maturazione degli interessi – rappresenta un elemento rilevante non solo per il bilancio aziendale di Telecom, ma anche per quello dello Stato, che dovrà farsi carico di un debito accumulato oltre due decenni fa, alle origini delle liberalizzazioni del settore.