Stati Uniti tra crescita apparente e fragilità nascoste

Lavoro in aumento, ma segnali contraddittori

I dati più recenti sul mercato del lavoro statunitense sembrano offrire motivi di ottimismo: nel mese di giugno sono stati registrati 147.000 nuovi posti di lavoro, un risultato che ha sorpreso positivamente i mercati. Tuttavia, analizzando più a fondo le cifre, emerge un quadro meno rassicurante: 73.000 impieghi sono stati creati nel settore pubblico, mentre solo 74.000 provengono dal comparto privato, che segna così il dato più basso degli ultimi otto mesi.

Secondo Nathan Simmons, analista macroeconomico, “Questi numeri dimostrano che la ripresa è fortemente condizionata da interventi statali. Non stiamo assistendo a un’espansione spontanea dell’economia reale.

Partecipazione al lavoro e disuguaglianze in crescita

Un altro elemento critico è rappresentato dal tasso di partecipazione alla forza lavoro, che si attesta attualmente intorno al 62%, il minimo dal 2022. Le cause vanno cercate in parte all’invecchiamento demografico, in parte nelle recenti modifiche alle politiche migratorie.

Nonostante l’apparente dinamismo occupazionale, il settore manifatturiero continua a evidenziare debolezze strutturali. Di conseguenza, si acuiscono le disuguaglianze salariali, e la crescita economica assume sempre più un carattere quantitativo, privo di impatti concreti sul benessere diffuso.

Inflazione persistente e tassi ai massimi

Nel contesto attuale, la Federal Reserve è costretta a mantenere una politica monetaria restrittiva per contenere un’inflazione ancora ostinata. Le aspettative dei consumatori indicano un aumento dei prezzi del 3,3% entro l’anno, nonostante il rallentamento degli ultimi trimestri.

L’economista Laura McKenzie osserva: “L’inflazione non sta calando con la velocità attesa, il che riduce il potere d’acquisto e alimenta tensioni economiche latenti.

Questo scenario mette in discussione la narrativa dominante di un’economia solida e in espansione: la crescita esiste, ma viene pagata con l’erosione dei redditi reali e una crescente instabilità dei bilanci familiari.

Il dollaro debole e la perdita di fiducia globale

L’indebolimento del dollaro statunitense viene spesso interpretato come una strategia per favorire l’export americano. In realtà, la svalutazione attuale non è il frutto di una manovra calibrata, bensì di una diminuzione della fiducia internazionale verso la solidità dell’economia americana.

Durante la sua presidenza, Donald Trump aveva indicato l’obiettivo di un dollaro più competitivo, ma ‘non certo in questo modo’, come ha dichiarato Richard Goldstein, ex consigliere economico, aggiungendo: “La caduta del dollaro riflette incertezza politica e perdita di credibilità fiscale.

Euforia finanziaria e distacco dalla realtà sociale

A prima vista, il rally dei titoli tecnologici a Wall Street rafforza l’impressione di un’America in piena espansione. Tuttavia, questa euforia borsistica convive con la precarietà di milioni di cittadini, le cui entrate non tengono il passo con il costo della vita.

Il quadro generale è quello di una ripresa economica squilibrata, alimentata da debito pubblico crescente e da politiche protezionistiche che inibiscono investimenti e ostacolano la competitività nel medio-lungo termine.

Come sottolinea Emily Vance, docente di economia pubblica, “Stiamo costruendo la nostra fiducia su fondamenta instabili. Le decisioni politiche recenti hanno aumentato l’esposizione a rischi sistemici.