Integrazione AOI: la Consulta cambia le regole

Lorenzo Bianchi

Una svolta per i titolari di pensione di invalidità

Con la sentenza n. 94 del 2025, la Corte costituzionale ha stabilito che anche chi percepisce un assegno ordinario di invalidità (AOI) calcolato interamente con il metodo contributivo ha diritto all’integrazione al minimo. Questo intervento giuridico segna una netta inversione rispetto all’interpretazione finora dominante, che aveva escluso tale diritto per migliaia di pensionati a basso reddito.

Il provvedimento risponde a una distorsione del sistema pensionistico italiano che penalizzava in modo sistematico i lavoratori colpiti da invalidità e con carriere brevi o discontinue. In precedenza, chi aveva iniziato a versare contributi dopo il 1995 era escluso dall’integrazione, anche se l’importo dell’assegno mensile restava ben al di sotto della soglia di povertà.

Disparità di trattamento e violazione costituzionale

Secondo i giudici della Corte, l’esclusione dall’integrazione è incompatibile con gli articoli 3 e 38 della Costituzione, che tutelano il diritto all’assistenza e all’eguaglianza. La norma contestata creava una disparità di trattamento tra soggetti nelle stesse condizioni, sulla sola base della data d’inizio dell’attività lavorativa.

L’assegno ordinario di invalidità, disciplinato dalla legge n. 222 del 1984, richiede almeno 5 anni di contributi, di cui 3 maturati negli ultimi 5 anni. Tuttavia, il metodo contributivo puro – introdotto dalla riforma Dini del 1995 – non prevedeva l’integrazione, aggravando la condizione dei soggetti più fragili. Oltre 425.000 cittadini percepiscono oggi un AOI, e una parte crescente lo riceve in forma interamente contributiva, con importi mensili spesso inferiori ai 400 euro.

Nuovi importi e limiti reddituali

Dalla pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale, i titolari di AOI contributivo potranno ottenere l’aumento al minimo pensionistico, fissato per il 2025 a 603,40 euro mensili, purché in possesso dei requisiti reddituali: fino a 7.000 euro annui per i singoli e 21.000 euro per i coniugati. Si tratta di un diritto acquisito, frutto di una lunga battaglia legale sostenuta da strutture come INCA-CGIL, che ora si prepara a sostenere le richieste su tutto il territorio nazionale.

La decisione non ha effetti retroattivi, al fine di non compromettere gli equilibri finanziari, ma introduce comunque un importante precedente che potrebbe influenzare anche altre prestazioni pensionistiche in futuro.

Verso una pensione contributiva di garanzia

L’iniziativa della Consulta ha riacceso il dibattito sulla necessità di istituire una pensione contributiva di garanzia, in grado di proteggere i lavoratori con carriere discontinue o precarie. Secondo stime recenti, oltre il 40% dei giovani rischia di andare in pensione con importi inferiori all’attuale assegno sociale.

Il progetto prevede l’introduzione di contributi figurativi nei periodi di disoccupazione involontaria, oltre a un livello minimo garantito per evitare che chi ha lavorato anche in modo frammentario finisca in condizioni di indigenza. È un modello sostenuto da sindacati e numerose forze sociali, che richiede ora un impegno concreto da parte delle istituzioni.

Il silenzio del governo e l’urgenza di riforma

Nonostante la portata della sentenza, il governo italiano non ha ancora espresso una posizione ufficiale. L’ultimo tavolo sulle pensioni con le parti sociali risale al settembre 2023. Il rischio è che l’intervento della Corte rimanga un caso isolato, privo di un seguito politico e normativo all’altezza delle sfide sociali emergenti.

Il sistema previdenziale italiano continua a trascurare le situazioni più vulnerabili, affidandosi a logiche contabili piuttosto che a criteri di giustizia sociale. Ma come dimostra questa decisione, il riconoscimento della dignità dei pensionati invalidi non può essere rimandato.