Nuova tassa sui dividendi, l’impatto sui grandi azionisti

Sofia Esposito

Una misura dal gettito miliardario

Nel quadro della manovra di bilancio 2026, il governo ha introdotto una nuova tassazione del 24% sui dividendi distribuiti a società, imprenditori ed enti residenti che detengono quote inferiori al 10% del capitale di una società. La misura, se confermata, potrebbe generare un gettito stimato di circa 1 miliardo di euro, andando a colpire anche alcune delle figure più influenti del panorama finanziario e industriale italiano.

Si tratta in sostanza della rimozione di un regime agevolato precedentemente in vigore, che escludeva parte dei dividendi da tassazione. L’obiettivo dichiarato è ampliare la base imponibile e ridurre le disparità tra piccoli e grandi azionisti. Tuttavia, l’impatto reale della norma, che dovrebbe entrare in vigore nel 2026, si farà sentire soprattutto su investitori di primo piano con partecipazioni minoritarie in società quotate.

Generali e i principali azionisti colpiti

Uno dei casi più significativi riguarda Francesco Gaetano Caltagirone, che possiede circa il 6,28% del capitale di Generali. Considerando che il gruppo assicurativo triestino ha distribuito 2,17 miliardi di euro di dividendi nel 2025, il nuovo prelievo comporterebbe per l’imprenditore un esborso stimato di circa 33 milioni di euro su utili lordi di oltre 136 milioni.

Un impatto analogo riguarderebbe anche la famiglia Benetton, azionista di Generali con una quota pari al 4,86%, che si troverebbe a versare circa 25 milioni di euro. Non sarebbe invece interessata la Delfin della famiglia Del Vecchio, che con una partecipazione superiore al 10% resterebbe esclusa dalla nuova imposta.

Tra gli istituti finanziari, Unicredit, guidata da Andrea Orcel, potrebbe subire un prelievo di 8-9 milioni di euro, in relazione ai dividendi maturati sulla propria quota di capitale inferiore al 2%. L’effetto della misura si rifletterebbe quindi in maniera trasversale, colpendo investitori privati e istituzionali con partecipazioni rilevanti ma al di sotto della soglia di esenzione.

Le banche tra i maggiori contribuenti

Nel comparto bancario, il nuovo schema fiscale produrrebbe conseguenze significative. Banco BPM, che detiene circa il 3,74% di Monte dei Paschi di Siena (MPS), potrebbe trovarsi a versare tra 9 e 10 milioni di euro sulla base degli utili distribuiti nel 2025, pari a circa 1,08 miliardi di euro.

A subire un impatto analogo sarebbe Davide Leone, investitore di lungo corso nel settore finanziario, la cui partecipazione del 2,26% in MPS potrebbe generare un prelievo stimato di 8,5 milioni di euro. Il nuovo sistema di tassazione, pertanto, andrebbe a colpire in modo particolare i soci con quote intermedie, per i quali i dividendi rappresentano una voce importante di reddito annuale.

L’effetto domino sulle partecipazioni industriali

La norma non risparmierebbe neppure gli imprenditori del comparto industriale. Tra i più esposti figura Romano Minozzi, noto per le sue attività nel settore della ceramica e per le partecipazioni storiche in grandi gruppi quotati. Con una quota del 3,09% in Eni, la nuova imposta si tradurrebbe in un prelievo di circa 25 milioni di euro, calcolato su un totale di 3,3 miliardi di dividendi distribuiti dal colosso energetico nel 2025.

Minozzi detiene inoltre una partecipazione del 3% in Snam, da cui deriverebbe un ulteriore impatto di circa 17 milioni di euro. La somma complessiva supererebbe quindi i 40 milioni, rendendolo uno dei principali contribuenti individuali della nuova misura.

Il caso Unipol e gli azionisti cooperativi

Particolare attenzione è rivolta al gruppo Unipol, che presenta una struttura azionaria composta da diverse società cooperative, tutte con quote inferiori al 10%. Tra queste figurano Holmo S.p.A. (6,73%), Nova Coop (6,82%), Cooperare S.p.A. (4,36%), Coop Liguria (3,56%) e Coop Lombardia (2,64%).

Applicando la nuova tassazione, gli azionisti di Unipol dovrebbero versare complessivamente oltre 35 milioni di euro nelle casse dello Stato. Si tratterebbe di una delle situazioni più rilevanti tra i grandi gruppi assicurativi italiani, poiché la misura inciderebbe direttamente sulla redditività delle cooperative azioniste, già sottoposte a una pressione fiscale consistente.

Esenzioni, margini di manovra e strategie possibili

L’effettiva entrata in vigore della norma resta subordinata all’approvazione definitiva della legge di bilancio. Tuttavia, gli analisti sottolineano che molti investitori potrebbero adattare le proprie partecipazioni per superare la soglia del 10% ed evitare il nuovo prelievo. Allo stesso tempo, alcune società potrebbero optare per vendite parziali o ristrutturazioni di portafoglio, così da ridurre l’esposizione.

È previsto che la norma si applichi agli utili del 2025, con effetti fiscali a partire dal 2026. Restano escluse dal provvedimento le società d’investimento e i fondi esteri, una scelta probabilmente dettata dal timore di una fuga di capitali internazionali. Non sarebbero invece esentate le Casse di previdenza italiane, che si troverebbero così a subire un aggravio fiscale non trascurabile.

Una misura che divide economia e finanza

L’introduzione della tassa sui dividendi rappresenta un passaggio delicato nel rapporto tra fisco e grandi investitori. Da un lato, il governo punta a riequilibrare il sistema tributario e aumentare le entrate pubbliche; dall’altro, le imprese temono un effetto disincentivante sugli investimenti azionari e un possibile rallentamento del mercato finanziario.

In attesa della versione definitiva del testo, i grandi azionisti di Piazza Affari osservano con attenzione l’evoluzione della norma, consapevoli che la nuova tassazione potrebbe ridefinire, almeno in parte, la mappa del potere economico e industriale italiano.