Unicredit rilancia la sfida legale contro il governo

Sofia Esposito

Il nuovo ricorso e le tensioni istituzionali

Il gruppo Unicredit ha depositato un nuovo ricorso al Consiglio di Stato per ottenere l’annullamento di alcune disposizioni del Dpcm che aveva bloccato il progetto di acquisizione di Banco Bpm. La decisione segna un ulteriore passo nello scontro tra la banca guidata da Andrea Orcel e il governo italiano, dopo il precedente rigetto da parte del TAR lo scorso luglio.
Il contenzioso si concentra su temi di sicurezza nazionale e sulla posizione di Unicredit in Russia, un fattore ritenuto sensibile dal punto di vista politico e regolamentare. Nonostante le scarse probabilità di ribaltare l’esito precedente, il nuovo appello mira a riaffermare il diritto della banca a operare senza condizionamenti governativi nelle operazioni di fusione e acquisizione.

Una decisione approvata dal consiglio di amministrazione

Secondo quanto emerso, la decisione è stata approvata all’unanimità dal consiglio di amministrazione riunitosi poche ore prima del deposito ufficiale del ricorso. Alcuni membri avrebbero espresso perplessità sull’opportunità di alimentare uno scontro aperto con le istituzioni, temendo ricadute politiche e reputazionali.
Tuttavia, la linea di Orcel ha prevalso, con l’intento di costruire una base legale solida per eventuali azioni future. All’interno della banca, si ritiene che il mancato via libera all’operazione su Banco Bpm abbia inciso negativamente sull’immagine internazionale di Unicredit, presentandola come un istituto estraneo al perimetro nazionale e soggetto a limiti di sicurezza non condivisi.

Le motivazioni strategiche del ricorso

Oltre alla volontà di rivalsa, la strategia di Unicredit risponde anche a obiettivi di posizionamento verso gli azionisti. Il management intende dimostrare di aver sfruttato ogni possibile via giuridica per contestare le decisioni governative.
Il nodo principale resta la prescrizione sull’uscita dal mercato russo, imposta dal governo come condizione di sicurezza nazionale. Tale misura, già ritenuta legittima dal TAR, è difficilmente superabile poiché legata alle sanzioni internazionali in vigore.
Unicredit contesta inoltre i vincoli relativi alla gestione dei titoli italiani nel portafoglio della controllata Anima Holding, considerandoli un’ulteriore interferenza nelle politiche di investimento della banca.

Il ruolo dell’Unione Europea e il dibattito sul golden power

La banca italiana punta anche sul possibile intervento della Direzione Generale Concorrenza della Commissione Europea (DG Competition), che potrebbe valutare una procedura d’infrazione contro l’Italia per l’applicazione del golden power nell’operazione Unicredit–Banco Bpm.
A Bruxelles cresce infatti il dibattito sulle fusioni bancarie transfrontaliere, considerate uno strumento essenziale per la integrazione del sistema finanziario europeo. Tuttavia, in diversi casi recenti — tra cui Unicredit–Bpm, Bbva–Sabadell e Commerzbank–Unicredit — i governi nazionali sono intervenuti per motivi politici o di sicurezza, rallentando i processi di consolidamento.
Secondo fonti europee, tale tendenza rischia di compromettere la creazione di un mercato bancario unico, obiettivo perseguito dall’Unione da oltre un decennio.

Governo e Mef restano fermi sulle proprie posizioni

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Palazzo Chigi si mostrano tuttavia determinati a difendere le proprie decisioni. Entrambi gli organismi ritengono che il veto sull’operazione Bpm fosse necessario per tutelare la stabilità del sistema finanziario nazionale e la sicurezza economica del Paese.
Se la Commissione Europea dovesse aprire una procedura formale, Roma sarebbe pronta a portare la questione davanti alla Corte di giustizia europea, convinta della legittimità dell’uso del golden power in casi che coinvolgono banche di interesse sistemico.
Nel frattempo, il confronto resta acceso e potrebbe protrarsi per mesi, mentre il ricorso di Unicredit seguirà il suo iter davanti al Consiglio di Stato con una decisione attesa non prima del 2026.

Un braccio di ferro tra autonomia bancaria e controllo politico

La vicenda rappresenta uno dei casi più emblematici del delicato equilibrio tra autonomia delle istituzioni finanziarie e interesse pubblico.
Da un lato, Unicredit intende riaffermare il principio di libertà d’impresa e il diritto a espandersi tramite operazioni strategiche; dall’altro, il governo rivendica la necessità di vigilare su acquisizioni che potrebbero alterare gli equilibri di potere nel sistema bancario italiano.
La posta in gioco è elevata: il risultato di questa disputa potrebbe influenzare non solo il futuro di Unicredit, ma anche la politica industriale del settore bancario europeo, sempre più sospesa tra spinte all’integrazione e difesa delle sovranità nazionali.