Ritardi Istat e impatto sui conti pubblici

Sofia Esposito

Revisioni tardive e conseguenze sul bilancio

Ogni anno, a marzo e settembre, l’Istat diffonde una revisione dei conti economici nazionali. Questi dati dovrebbero fungere da guida per le decisioni di politica economica, ma la loro pubblicazione a posteriori crea difficoltà concrete al Tesoro. Le manovre finanziarie, già scritte sulla base di stime prudenti per rispettare i vincoli europei, risultano penalizzate quando emergono correzioni al rialzo. Così il Paese appare più ricco di diversi miliardi, ma troppo tardi per destinare nuove risorse a spesa o investimenti.

Differenze nelle stime del Pil

Le ultime revisioni mostrano scarti significativi. Nel 2023 il Pil è passato da 1.920,5 miliardi stimati a marzo a 1.925,4 miliardi a settembre, un incremento di circa 4,9 miliardi (+0,26%). Nel 2024 si è registrato un rialzo di 4,4 miliardi, da 1.934,4 a 1.938,8 miliardi. Ancora più evidente il confronto con settembre 2023: il Pil 2023, allora calcolato a 1.917,2 miliardi, oggi vale oltre 8,2 miliardi in più (+0,43%).

Secondo le rilevazioni aggiornate, il Pil a prezzi correnti del 2024 ha raggiunto 2.199,6 miliardi, con una crescita reale 2023 rivista da +0,7% a +1%. Questa correzione ha ridotto l’indebitamento netto 2024 di 1,6 miliardi, portandolo da 75,5 a 73,9 miliardi. Importi che, pur sembrando marginali, incidono sulle risorse disponibili per misure come gli incentivi alle imprese o il rinnovo dei tagli Irpef, che costano singolarmente 4-5 miliardi.

Effetti sugli investimenti e sulla crescita

Il Pil del 2023 è stato rivisto al rialzo di 57,2 miliardi rispetto ai dati preliminari di aprile 2024, con una variazione complessiva del +2,7%. Una parte rilevante della crescita è stata trainata dagli investimenti fissi lordi, saliti del 10% (circa 44 miliardi) nelle ultime tre revisioni.

La diversa composizione della spesa spiega l’insoddisfazione del Tesoro: un euro investito in infrastrutture genera 0,75 euro di Pil, contro i 0,50 euro di ritorno da uno sgravio fiscale. Questo significa che una correzione tardiva priva lo Stato di margini per destinare subito risorse più produttive. Le tecnologie moderne, dall’intelligenza artificiale alla data analysis, potrebbero ridurre i margini di errore, evitando aggiornamenti che scompaginano i piani economici già approvati.

Dimensione politica e percezione pubblica

Oltre agli aspetti tecnici, emerge la questione politica. Oggi l’Istat è diretto da Francesco Maria Chelli, nominato dall’attuale governo, ma nel periodo 2018-2021, durante i governi Conte, l’influenza del Movimento 5 Stelle sull’istituto è aumentata sensibilmente. Questo ha alimentato la percezione che alcune stime possano essere orientate in senso politico, più che dettate da criteri puramente scientifici.

Se i dati ufficiali presentano una crescita più bassa, la responsabilità appare immediatamente del governo in carica. Un meccanismo che non è nuovo: già in passato, durante il governo Renzi, si registravano malumori per revisioni considerate penalizzanti sul piano della credibilità.

Le implicazioni per le politiche economiche

Il nodo centrale resta l’affidabilità e la tempestività dei dati. Un margine di errore limitato è fisiologico, ma ritocchi costanti a distanza di mesi incidono sulla capacità del Paese di programmare interventi mirati. Gli esempi mostrano che miliardi di euro “recuperati” dopo le stime iniziali avrebbero potuto modificare l’equilibrio delle leggi di Bilancio, incidendo su misure di sviluppo, occupazione e riduzione della povertà.

Il ritardo nella correzione del Pil solleva interrogativi: fino a che punto le statistiche ufficiali possono essere considerate pienamente affidabili? E in che misura la loro pubblicazione tardiva rischia di trasformarsi in un freno alla crescita economica nazionale?